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Ulisse e Calipso: dov’è finita Ogigia, la loro isola d’amore?

Il mito dell’Odissea, calato nella realtà dei luoghi forse percorsi o forse solo conosciuti da Omero, ci permette di segnare un tracciato sulla carta geografica, segnato dopo che Ulisse riesce a scampare al vortice di Cariddi. Il tracciato, prima di toccare l’isola dei Feaci (Kerkyra, Corfù) dove Ulisse naufragò e si addormentò sulla spiaggia di Arillas, e, finalmente, la sua amata Itaca, approda e si sofferma (l’eroe vi rimase per molti anni) nella misteriosa isola di Ogigia con l’affascinante ninfa Calipso.

In questo mare, al centro del mite e riparato Golfo di Taranto, oltre all’isola, si trovano anche, sia un altro famoso “vortice”, quello posto nelle acque davanti alle digradanti dolci colline ai piedi del Monte Pollino, tra la greca Amendolara e la protostorica Trebisacce, sia la foce del corso d’acqua della Vena (oggi “Torrente Avena) legato al mito della ninfa Leucotea e del suo “rapporto” (anche questo amoroso) con Giove e Giunone.
Mito, storia e mistero sono racchiusi in questo affascinante luogo.


I miti dei luoghi circostanti

Leggiamo in  “Alto Ionio Calabrese” di Leonardo Odoguardi. Edizione Maria Pacini Fazzi editore in Lucca, 1983, che il vortice, forse, come narra Eliano (storico a cavallo tra il II e III sec. D.C.) fu la causa del portentoso affondamento della flotta di 300 navi inviata nel 377 a.C. da Dionisio (o Dionigi) detto il Vecchio (430 a.C. – 367 a.C.), tiranno di Siracusa, per sconfiggere la città di Thurii, proprio in questa parte di golfo nel golfo (il Sinus Thurinus) dell’antica Sybaris. L’isola, Ogigia, da tutti cercata invano, perché come Utopia, è l’isola che non c’è, scomparsa, è forse sprofondata per un bradisismo nel mare tra Amendolara e Trebisacce, proprio nella zona dove è situata una grande secca, indicata nella carte nautiche come “Secca di Amendolara”, davanti all’”Ulisse e Calipso Agriturismo”.


A. D’arrigo, nel suo saggio scientifico  “Premessa geofisica alla ricerca di Sibari” edito a Napoli nel 1959 ci dice: “…Questo banco, una grossa secca a undici miglia marine, venne scoperto durante alcune ricerche scientifiche condotte da una nave della Marina Militare e, dopo alcuni dragaggi, fu rinvenuta anche un’ancora di tipo siracusano del IV secolo a.C. insieme ad alcuni relitti lignei”. Allora forse isola e flotta di Dionisio giacciono insieme sul fondo del mare a poca distanza dal “vortice” e dalle dolci colline del litorale tra Amendolara e Trebisacce, davanti alla Masseria Acciardi con le strutture dell’”Ulisse e Calipso Agriturismo”.


A terra, a pochi metri dal vortice, troviamo la foce del torrente Avena o, come ci precisa Rinaldo Chidichimo, studioso dei luoghi, “Acqua della vena”; infatti, egli scrive: “…Fu solo esaminando una carta geografica della Calabria dell’800 che mi resi conto che esisteva anche una diversa denominazione del torrente Avena. Infatti nel foglio 25 dell’”Atlante geografico del Regno delle due Siciliedi G.A. Rizzi-Zannoni, inciso nel 1811 da G. Guerra, quel torrente viene indicato come: “Acqua della vena”, con un significato quindi completamente diverso.”



Quale significato? Chidichimo ce lo spiega più avanti: “La riscoperta, dopo parecchi anni, di una denominazione diversa del torrente Avena mi aveva  incuriosito.
Leucotea era una delle tante ninfe che per la sua bellezza aveva attratto l’attenzione di Giove. La ninfa però, devota a Giunone, sfuggiva alle attenzioni del re dell’Olimpo, finche questi, un giorno, di fronte alle sue resistenze, in un impeto di rabbia, la scaraventò in mare. Mentre la povera Leucotea precipitava si raccomandò a Giunone, che, a ricompensa della sua fedeltà, nel momento in cui si inabissava in mare, la trasformò in una meravigliosa fontana.


Secondo la tradizione locale cadde nel mare Ionio di fronte alla Torre di Albidona (ed alla Masseria Acciardi e “Ulisse e Calipso Agriturismo”) a non molta distanza dalla riva.
Un tempo infatti, a poca distanza dalla riva, non esisteva solo un semplice vortice, ma anche una vera fontana spumeggiante di acqua dolce che fuoriusciva dal mare: ad essa, secondo altre voci, si rifornivano addirittura le navi di passaggio.”
Ora questa Leucotea, come vedremo tra poco,  è un personaggio inserito da Omero anche nel viaggio di ritorno di Ulisse verso Itaca.


Non solo ma a terra, a poca distanza, nella vicina Cerchiara, troviamo anche l’incredibile grotta detta “Antro delle Ninfe Lusiadi”, dove appunto si celava il talamo dell’affascinante Calipso.
Perché qui si troverebbe Ogigia, oltre che per la presenza dei miti descritti? Ma perché, come ci dice Nicolò Cornimeo in un articolo pubblicato su “La Gazzetta del Meggiorno”: “ alcune antiche carte ce la mostrano ancora esistente. Come le stampe del famoso incisore nord europeo Jodocus Hondius che nel 1680 per primo la disegna con tanto di fortificazioni e due scogli: «Calipso over Ogygia e Dioscorono». 





L’isola si ritrova anche nelle tavole del Moncaliero nel 1649 dove la torre diventa un vero e proprio castello e ancora alle soglie del Settecento nelle stampe del De Witt «Regnum Neapolis». Nella cartografia successiva Monte Sardo scompare, il mistero si infittisce e lascia spazio alle ipotesi più disparate, che sia affondata come la mitica Ferdinandea?...”.

Ma la descrizione di questa intrigante storia non finisce qui.
Ulisse desidera tornare ad Itaca ed a nulla vale l’offerta di Calipso di donargli, se restasse, l’immortalità ed allora narra Omero:
“…Giorni oziosi e travagliosi mena/ E del tornare alla sua patria è nulla/Poiché navi non ha, non ha compagni,…”

Atena allora implora Giove di liberare Ulisse dal suo legame d’amore. Allora Giove:
“…Disse a Mercurio, sua diletta prole/Così si rivolgea:«Mercurio, antico/ De’ miei comandi apportator fedele/ Vanne, alla ninfa dalle crespe chime/ Il fermo annunzia mio voler, che Ulisse/ Le native contrade omai rivegga,…/ E i Feaci l’accolgano…»


Mercurio, giunto ad Ogigia sente la ninfa che cantava con voce leggiadra e fra i fili tesi dell’ordita tela lanciava la sua spola d’oro e ammira l’isola:
“…E tra i lor rami fabbricato il nido/ S’aveano augelli dalle lunghe penne,/ Il gufo, lo sparviere e la loquace/ Delle rive del mar cornacchia amica. / Giovane vite di purpurei grappi/ S’ornava e tutto rivestia lo speco. / Volvean quattro bei fonti d’acque d’argento,/ …e di viole…”

Calipso, sentendo il volere di Giove commentò tristemente che quegli stessi dei quando Ulisse peregrinava e subiva la sorte avversa non lo aiutarono, ed ora, che lei lo aveva accolto e nutrito e amato, gli ingiungevano di lasciarlo andare. In ogni modo gli fornisce il legname per costruire la sua zattera ed i pani ed  il vino per rifocillarsi durante la navigazione. Gli da anche dei vestiti adatti e gli promette un vento favorevole :
“…Che alle contrade tue ti spinga illeso…”

Quindi Ulisse prende il mare e:
“…Lieto l’eroe dell’innocente vento,/ La vela dispiegò. Quindi al timone/ Sedendo, il corso dirigea con arte,/ Né gli cadea sulle palpebre il sonno/ Mentre attento le Pleiadi mirava,/ E il tardo a tramontar Boòte e l’Orsa/ Che detta è pure il Carro, e là si gira,/ Guardando sempre in Oriöne, e sola/ Nel liquido Oceàn sdegna lavarsi/ L’Orsa, che Ulisse, navigando, a manca/ Lasciar dovea, come la diva ingiunse.”

Dunque, ecco un’ulteriore traccia che svela i luoghi, Calipso aveva informato Ulisse che per tornare ad Itaca doveva navigare lasciando a sinistra le stelle della costellazione del Carro. Ora se partissimo con la barca dalla nostra Ogigia dovremmo proprio seguire questa rotta per andare ad Itaca.

Naturalmente le vicissitudini di Ulisse non finiscono qui.  Mentre naviga verso Itaca incorre nelle ire di Poseidone, ed entra in campo quella Leucotea di cui abbiamo accennato prima.
Ecco cosa succede in una sintesi narrata da Rinaldo Chidichimo in “La vera storia di Leucotea, Ulisse e l’isola di Ogigia”:

“Lo scorse la figlia di Cadmo, Ino dalle belle caviglie,
Leucotea, che era mortale un tempo, con voce umana,
e ora tra i gorghi del mare ha in sorte onori divini.
Ebbe pietà di Odisseo, che errava soffrendo dolori:
come una procellaria emerse a volo dall’acqua,
si posò sulla barca e gli disse:
Infelice, perché Poseidone che scuote la terra è irato così tremendamente
da darti tante disgrazie?
Eppure non può rovinarti, anche se molto lo brama.
Ma tu fa così – non mi sembri uno sciocco:
togliti questi vestiti, abbandona ai venti
la zattera dei Feaci dove è destino che scampi.
Ecco stendi sotto il petto questo velo
Immortale: non aver timore di soffrire o morire!
Ma appena toccherai con le mani la terra,
scioglilo e gettalo subito nel mare scuro come vino, molto lontano da terra
e tu voltati via.
Detto così, la dea gli dette il suo velo,
e come una procellaria si immerse
subito nel mare ondoso: la coprì l’onda scura.

Così Omero nell’Odissea (V, 335-354) racconta di come Leucotea salvò dalle ire di Poseidone Odisseo nel viaggio di ritorno verso Itaca.”
Ecco il poema, il mito ed il mistero che nella presentazione di “Per l’alto mare aperto” di Eugenio Scalfari si chiede: “…E perché Ulisse all’improvviso si disinnamora di Calipso, appena lei gli offre l’immortalità? Scalfari, che da vecchio umanista conosce il languore mediterraneo per la secca di Amendolara, dove leggenda vuole fosse l’isola di Ogigia, teatro degli amori omerici…”. Domande, alcune senza risposta, se non nel fascino dei luoghi.


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